giovedì 29 novembre 2012

Allattamento - Sfatare un mito per salvare una madre

So che quello che sto per scrivere potrà risultare un po' impopolare.
In effetti da qualche anno medici, ostetriche, pediatri, voci da ogni dove.... ci insegnano, in gran parte a ragione, che l'allattamento al seno è la cosa migliore per il bambino. Certo le virtu' del latte materno sono incontestabili. E beate tutte le mamme che hanno la fortuna di vivere questo momento come un privilegio.

Pero' non tutte le mamme sono uguali.

Quando mia figlia è nata mi hanno riempita di opuscoli, incontri e consigli vari sui benefici dell'allattamento al seno. E come ogni giovane mamma la sola cosa che volevo era dare il meglio al mio bambino. Così, appena uscita dalla sala delle torture (civilmente chiamata "sala parto"), mi sono slacciata un po' titubante la camicetta da notte per tirare fuori questo seno enorme e pieno che non riconoscevo nemmeno più. Subito, quell'esserino appena uscito dal mio ventre ma che restava per me ancora uno sconosciuto,  si è messo a succhiarlo avidamente, come se fosse cosa sua. Dopo nove mesi di comodato il mio corpo vedeva rimandato a data da definirsi il giorno della sua restituzione. Fin da subito qualcosa non andava: il dolore, la richiesta della poppata costante ed estenuante giorno e notte e il dubbio sempre terribile di non sapere se avesse mangiato abbastanza mi annientavano.
Poco a poco l'allattamento sublime ed etereo dei volantini di propaganda, mi aveva prosciugata... psicologicamente. I seni sempre doloranti, le simpaticissime secrezioni che si accompagnano a quei confortevolissimi cuscinetti (in alternativa alle areole sulla maglietta), per non  parlare dell'effetto devastante che questi inconvenienti hanno sotto le lenzuola... Non riuscivo più a sentirmi donna e soprattutto non riuscivo a sentirmi libera. Allattare mi soffocava, sapere di essere indispensabile per mia figlia mi opprimeva. Anche il lato un po' "animale" dell'allattamento, che molte donne vivono con naturalezza, mi metteva a disagio, mi sentivo un po' una vacca da mungere. Invidiavo la semplicità con cui molte donne allattano in pubblico, visto che io non riuscivo a farlo. Mi sentivo colpevole di non essere in grado di vivere questo momento definito da tutti "naturale" (leggi "giusto"), in maniera normale. A salvarmi, al di là dei medici e dei miei sensi di colpa, è stata mia figlia che ad un certo punto non ha più voluto prendere il seno. Aveva solo qualche settimana, ma aveva capito forse prima di tutti che l'allattamento non era la cosa migliore per me. Ed io, superata con fatica la delusione del fallimento, mi rendevo infine conto che la sua felicità passava per la mia. Ad un seno dato da una madre esausta mia figlia ha preferito un biberon dato da una mamma felice: appagata del suo divenire mamma e del suo sentirsi di nuovo donna libera.

mercoledì 14 novembre 2012

Fashion victims?!





1. Fashion-mamma
Alla mia mamma piace vestirmi cosi': leggin alla moda, soprabitino a cuori e berretto rosa façon cuffia da bagno... dice che fa tanto carino, mah!







2. Fashion-papà
Il mio papà mi veste cosi': tuta da ginnastica rigorosamente spaiata, cappellino estivo e sciarpone da neve legato ermeticamente... se solo non ci fossero 25° all'ombra!
3. Fashion-e-basta
Io invece se quei due matti mi lasciassero un po' fare mi vestirei cosi'... non è meglio?!

martedì 6 novembre 2012

Frase del mese

Io, quando dopo una giornata di "NO MAMMA" reiterati, mi sento a pezzi e mi chiedo se non sto sbagliando tutto, mi ripeto questa frase per tirarmi un po' su. Spero funzioni anche per voi:


"un bambino che mostra dell'ostilità mista a dell'affetto per i genitori è un bambino in buona salute"*

(*"un enfant qui montre de l'hostilité, mêlée à de l'affection à ses parents est un enfant en bonne santé" F. Dolto)

lunedì 29 ottobre 2012

Io, il concubino e il frutto del peccato

Io al matrimonio ho sempre detto no. Intendo al MIO matrimonio, evidentemente.
Purtroppo, malgrado le apparenze, credo non si tratti né di convinzione ideologica, né di opposizione militante, né di vis polemica, quanto piuttosto di una banalissima e volgarissima allergia: vestito bianco, foto di gruppo e torte nuziali m'han sempre fatto venire l'orticaria. Se ci penso mi escono orribili bolle ovunque, comincio a grattarmi e svengo per schock anafilattico. C'è chi è allergico al latte, chi al polline, chi ai frutti di mare... io sono allergica al matrimonio. Dev'essere una questione genetica... mah!

Motivazioni a parte, fatto sta che da qualche anno concubo (indicativo presente del verbo concubire??) con una persona, "il concubino" appunto, e da un po' abbiamo anche dato alla luce "il frutto del peccato", una bimba che non sa cosa farsene delle fantasiose allergie di mamma e papà. Eppure tutto cio' potrebbe costarle molto caro...

Infatti oggi in Italia figli legittimi e non, non godono degli stessi diritti. Cominciamo col dire che, nonostante non si usi più dire "figlio illegittimo", il figlio nato fuori dal matrimonio non puo' essere definito "legittimo" come quello nato da genitori regolarmente sposati. Si parla di "figlio naturale". Una differenza lessicale di per sé già inquietante e vergognosamente ipocrita: tanto valeva continuare a chiamarli illegittimi! 

Ma pur volendo tralasciare questo vizio di forma, il trattamento dei figli legittimi e naturali resta fondamentalmente discriminatorio anche nella sostanza. Due in particolare i punti chiave: i gradi di parentela e la questione dell'eredità.

Nonostante siano riconosciuti i nonni e i bisnonni, infatti, i figli naturali non possiedono, giuridicamente parlando, né zii, né cugini. Inoltre in caso di presenza di fratelli nati dentro il matrimonio,  l'eredità dei figli naturali potrebbe essere liquidata in denaro invece che per acquisizione dei beni loro spettanti e questo per preservare il patrimonio familiare. Sembra una pura follia, eppure è un'ingiustizia in piena regola.

Infine, se consideriamo parallelamente a cio' il vuoto legislativo in materia di unioni extraconiugali (Pacs, Dico, Unioni di fatto di ogni sesso e genere animale), mi domando se non ci sia in giro qualche matrimonio nato (comprensibilmente) più dal desiderio di tutelare i figli che dalla volontà spontanea di unirsi davanti a Dio e alla comunità. Chissà!


P.S. (= Per Sdrammatizzare)
In tutto questo resta una sola nota positiva: siccome nella madrepatria il mio Pacs francese non vale nulla, potrei contemporaneamente venire a sposarmi in Italia (con un altro uomo chiaramente) in tutta legalità. Se a qualcuno interessa...

venerdì 26 ottobre 2012

Siti internet per bambini



Secondo me la rete rappresenta una risorsa infinita, anche per i bambini. Ecco allora una piccola recensione di siti internet per bambini che ho selezionato per voi. 
Tuttavia questa grande opportunità va utilizzata con buon senso: 


questi siti vanno visualizzati INSIEME ai propri figli, usati come un modo diverso di giocare di tanto in tanto e non come baby-sitter...


Per i più piccoli
   Con questo sito anche i più piccini potranno fare i primi passi con mouse e computer e premere tutti i tasti della tastiera senza fare danni...
   Il cagnolino Pimpa propone nel suo sito, oltre a qualche gioco, disegni da colorare, cartoline da inviare agli amichetti, inviti e segnaposto da realizzare col vostro cucciolo.
   Tanti rumori e oggeti colorati per divertire i più piccoli... ma non per molto a dire il vero!

Per le scuole elementari
   Bel sito di una mamma coraggio che, impegnata nel creare giochi ed esercizi per sostenere  il figlio diversamente abile, ha realizzato un sito in realtà adatto a tutti i bambini con esercizi divertenti e interattivi di tutte le materie principali, per imparare giocando. (C'è anche una sezione per bambini più piccoli).
   Ancora un sito istruttivo e divertente che propone svariate idee per lavoretti manuali e due rubriche particolarmente interessanti dedicate a genitori e insegnanti.
   Originale: Orlando furioso, Odissea, Garibaldi, filosofia e tanto tanto altro spiegati con fumetti animati. Se questi temi sono un po' indigesti ai vostri figli vale la pena farci un salto!
   Corso di lingua inglese per bambini, yes you can!

Per tutti (anche per mamma e papà)
   Fiabe da leggere e raccontare, poesie, idee per creare con i bambini e pure un oroscopo a taglia di bambino.
   Un sito per riflettere sull'infanzia, con attività, disegni da colorare e tante belle canzoncine e ninne nanna.
   Storie, filastrocche, giochi... e anche qualche consiglio utile per i genitori nella sezione a loro dedicata.

Aspetto di conoscere i siti che piacciono a voi e ai vostri bambini!

sabato 20 ottobre 2012

Educare a mangiare età per età

     Ogni bambino dovrebbe avvicinarsi al cibo il più naturalmente possibile. Detto questo pero' è vero che siamo spesso noi genitori i primi ad avere un rapporto con il cibo un po' difficile e quindi puo' essere utile riflettere sul come trasmettere al nostro bambino una relazione con il cibo equilibrata. Si tratta come vedremo di adottare alcune strategie semplici, di buon senso e nel rispetto del bambino. Partiamo dal presupposto che il nostro comportamento deve cambiare a seconda delle età.

    Per esempio, un bambino appena nato, si sa, non ha orari per mangiare, gli si dà da mangiare a richiesta... e che male c'è se qualche poppata è più bisogno di contatto con la mamma che fame vera e propria?
Invece a partire dal momento in cui il bambino puo' fare dei pasti completi (che lo saziano cioè per almeno tre ore, verso i 4 mesi) è importante iniziare a dare ai pasti degli orari fissi: non è più il bambino che decide a che ora mangiare, quando gli va, ma si adatta pian piano agli orari normali della famiglia. Quindi, e qui la logica pacifica e quasi semplicistica appena espressa rischia di complicarsi un po'... biberon in piena notte o biberon per addormentarsi dovrebbero sparire (per sempre!).

    Anche la questione annosa che pone il problema se il bambino debba finire o no tutto quello che ha nel piatto, richiede secondo me una risposta che varia a seconda dell'età. Un bambino piccolo non decide la quantità di cibo che ha nel piatto, gli viene imposta. Di conseguenza non ha alcun senso obbligarlo a mangiare tutto, anzi, rispettare il suo "no" quando non ne vuole più gli permette di mangiare a suo piacimento e di acquisire la nozione indispensabile di sazietà. Le cose cambiano con i bambini più grandi.  Diciamo che dal momento in cui il bambino è capace di servirsi da solo, e che gli permettiamo di farlo!, allora dovrà finire tutto quello che si è messo nel piatto in modo che impari a non sprecare e a servirsi con giudizio per poi eventualmente riservirsi.

    Quanto alla varietà del cibo che mangiano, la logica è abbastanza semplice. Appena inizia la diversificazione alimentare i bambini dovrebbero essere messi a contatto con il maggior numero di alimenti possibili. Non si puo' pensare di costringere un bambino di tre-quattro anni a mangiare delle verdure o altri alimenti dal gusto un po' più complesso quando non li ha quasi mai visti o mangiati prima. La guerra rischia di essere dura (e sappiamo in partenza chi sarà il vincitore...). E' meglio averlo abituato prima e tener presente (non senza una buona dose di pazienza) che alcuni alimenti (a volte tutti) hanno bisogno di essere riproposti più, più, piu'... e più volte, senza mai costringere il bambino a mangiare e felicitandolo ogni qual volta decide anche solo di assaggiare, prima che quest'ultimo inizi a riconoscerne il gusto e ad apprezzarlo. Certo bisogna essere molto perseveranti, soprattutto con alcuni bambini, ma alla lunga ce la si fa!

    Ed ora la domanda più scabrosa: che fare se il bimbo mangia poco??? Anche qui dipende dall'età. Se un bimbo piccolo, che inizia appena a mangiare pappe e pappine, lascia più della metà del suo pasto, è effettivamente importante apportargli la quantità di cibo necessaria per la sua crescita e quindi si completa con il latte. Questo, diciamo, fino a circa un anno di età. Dopo questa prima tappa se il bambino non vuole mangiare il pasto che abbiamo previsto, beh, pazienza! Gli si propone la frutta o il dolce e poi si aspetta il pasto successivo senza fare troppe tragedie e senza rimpinzarlo di ogni sorta di alimento che riusciamo a fargli ingoiare. Poi quando sono un po' più grandi, si puo' anche iniziare a togliere frutta e dolce, se non vuol mangiare non mangia nulla e se ne riparla al pasto successivo, dove in genere arriva affamato.

Soprattutto bisogna evitare di fare del cibo una questione troppo importante o di sentirsi colpevoli se il nostro bambino non mangia o non mangia abbastanza. Mangiare deve essere la cosa più naturale possibile, e più si distingue il cibo da qualsiasi tipo di relazione affettiva meglio è. Non si è per forza delle cattive madri se il bambino non vuol mangiare. Magari non ha fame o ha mal di denti o vuole solo mettere alla prova la nostra pazienza. Se è cosi' bisogna fare un po' spallucce (sempre che il bimbo non sia denutrito chiaramente) e dire: "beh se non vuoi mangiare pazienza mangerai quando avrai fame". Soprattutto è consigliabile evitare di dire cose del tipo "dai mangia, fallo per la mamma" "lo sai che il papà è contento se mangi ancora un po'"? ecc... Perché non si mangia per far piacere agli altri, ma per nutrirsi o al limite per far piacere a se stessi. Altrimenti il rapporto con il cibo rischia di costruirsi in maniera un po' ambigua ed a quel punto il bambino potrebbe davvero usare il cibo come un ricatto... ed è la storia del gatto che si morde la coda.

    Infine attenzione al cibo palliativo (e questo vale a tutte le età tranne come dicevo nei primissimi mesi in cui la poppata è una coccola che non si rifiuta!). La caramella quando ci si sbuccia un ginocchio, il pezzo di pane cosi' si lascia la mamma tranquilla finché fa la spesa... Lo so ci siamo caduti tutti, ma sono cose che è meglio evitare per quanto possibile. Altrimenti trasmettiamo al bambino una relazione con il cibo sbagliata, viziata in partenza. Cosi' che crescendo il cibo potrebbe essere usato come una consolazione, con le conseguenze immaginabili: sono triste, arrabbiato, mi annoio... apro il frigo e mangio!

    Ancora una cosa facile facile: si possono lasciare i bambini piccoli mangiare con le mani! Evvivaaa!! Anzi sembrerebbe che sia pure positivo: mangiano da soli più rapidamente (imparando in fretta a usare le posate) e in più il tatto li aiuta a comprendere le diverse consistenze dei cibi.

    Insomma queste sono idee molto generali che probabilmente non vanno bene per tutti (e che soprattutto non vanno associate a bambini che presentano dei reali disturbi alimentari), ma possono forse dare qualche spunto di riflessione!

Questo post partecipa al blogstorming

martedì 2 ottobre 2012

I bambini e il tempo

Tic-tac, tic-tac... Cosa ne sanno i bambini del tempo? In effetti molto poco, visto che non ne hanno praticamente alcuna concezione almeno fino ai cinque, sei anni di età.

Tutti i neo-genitori, prima o poi, pronunciano la frase fatidica: "fra un'oretta usciamo"... a quel punto il pupo si piazza davanti alla porta (con l'abituale scorta di giocattoli al seguito) e inizia a frignare, lamentarsi e battere i piedi dal momento che quella porta resta inspiegabilmente e drammaticamente chiusa. Perché di questa nostra frase il bimbo capisce unicamente che si esce, per lui "fra un'ora", "domani mattina", "ieri", "fra una settimana"... non significano proprio un bel niente!


La persistenza della memoria, 
Salvador  Dali' -1931


E' solo verso i tre-quattro anni che iniziano a capire concetti come "dopo", "prima", "aspetta un momento" o "subito", ma a quest'età la concezione del tempo resta ancora piuttosto fluida. 

Bisognerà aspettare l'inizio della scuola elementare perché comincino davvero a familiarizzarsi con i concetti di passato, presente, futuro e di durata.




I bambini, più che all'orologio, sono legati a riferimenti temporali concreti come l'ora in cui il papà rientra, l'ora delle nanne, quella della pappa... Quindi invece di dire soltanto "fra un po' usciamo", per aiutare i nostri bambini possiamo ad esempio aggiungere "quando hai finito il biberon e hai messo le scarpe usciamo". Non dico che i più diavoletti non avranno la tentazione di uscire all'istante, ma almeno avremo qualcosa a cui aggrapparci per spiegagli, con termini che possono comprendere, per quale ragione non si esce subito.

E' per questo che è fondamentale, nei primi anni di età, cercare il più possibile di mantenere ritmi regolari. I bambini piccoli adorano la routine. Fare sempre le stesse cose, alla stessa ora, in maniera ripetitiva e magari per noi un po' noiosa è un fatto rassicurante per un bambino, perché non sapendo situarsi temporalmente nella giornata, si abitua al susseguirsi degli eventi e puo' facilmente prevedere cosa succederà rientrando dal parco o dopo il bagnetto. 

Dunque, se la concezione del tempo si fa strada lentamente nella mente dei nostri bambini, sta a noi genitori metterli nella situazione migliore per vivere questo passaggio pacificamente, con una certa possibilità a prevedere gli eventi grazie alla loro regolarità. La routine li conforta e li tranquillizza, un po' come una dolce ninna nanna. Per esempio, un bambino che ogni sera fa il bagnetto, cena, legge un  libretto, sempre lo stesso, 1000, 10000, milioni di volte (esperienza esaltante per un genitore...) e poi va a nanna, farà molta meno fatica ad addormentarsi di un bambino che non possiede alcun rituale serale... a ciascuno allora di trovare il suo, quello che gli conviene di più!

Questo post partecipa al blogstorming:
http://genitoricrescono.com/tema-mese-tempo/

domenica 30 settembre 2012

Il terzo elemento: il papà



Se da piccola mi avessero chiesto a cosa servono i papà avrei probabilmente risposto che i papà servono per insegnare ad andare in bicicletta... 

Una bella metafora, in fondo, che oggi potrei tradurre cosi': i papà servono a rendere liberi!

Liberi da cosa? 
Dalla mamma, naturalmente! 
Il ruolo del papà, per quanto innaturale possa sembrare, sarebbe proprio quello di separare la madre dal proprio bambino per permettergli di vivere la sua vita. L'ostetrica che fa nascere e taglia il cordone, rappresenta la prima separazione indispensabile tra la mamma e il suo bambino. Senza questa divisione primordiale non ci sarebbe vita. Diciamo simbolicamente che l'ostetrica è il primo papà. Di fatto il papà è qualsiasi elemento terzo che accompagna il bambino verso la vita esterna, la scoperta, la conoscenza di tutto cio' che si distingue dalla madre. La mamma protegge, il papà insegna a vivere... ad andare in bicicletta senza rotelle! 


Certo per farlo è costretto ad intromettersi in questo binomio perfetto, quasi sacro. Il problema è che se non lo fa il bambino resta rinchiuso in un legame troppo forte con la madre, in cui i due sembrano inseparabili, anche se in realtà è sempre la madre che non vuole separarsi dal proprio bambino mentre quest'ultimo è istintivamente attirato verso l'esterno. E non c'è niente di più nocivo di una relazione a due poli, "a specchio", in quanto questo "paralizza le  possibilità dinamiche" del bambino, come dice Françoise Dolto. Identificandosi con la madre, o opponendosi alla stessa il bambino sarà incapace di trovare la sua reale personalità. 

Insomma diciamo semplicemente e una volta per tutte che il "terzo elemento" è fondamentale: se la mamma ci dà alla vita, il papà ci permette di vivere.


lunedì 30 luglio 2012

Azienda leader ricerca mamme urgentemente...

Diventare genitori rende più intelligenti? Sembrerebbe di si'! 

   Questa almeno è la teoria che ci propone genitoricrescono*. La blogger di questo sito, infatti, sostiene che il tempo passato ad accudire il suo bambino l'abbia resa migliore in termini di efficienza: "più paziente, rapida nella gestione dei conflitti, campionessa del multitasking e ottima problem solver". Tutte doti che dovrebbero far gola ad un gran numero di aziende!

   Lo scopo di questo articolo è quello di dimostrare che i lunghi mesi passati in maternità non sono "tempo perso" lavorativamente parlando. Anzi, diventare mamme e papà ci aiuterebbe a sviluppare tutta una serie di qualità specifiche fondamentali per qualsiasi lavoro: dalla concretezza alla flessibilità, dall'affidabilità alle doti manageriali, dal senso dell'organizzazione allo spirito di adattamento...
La polemica non è inutile, anzi. L'idea è di proporre una prospettiva nuova, oggi ahime ancora completamente ignorata: valorizzare le donne che rientrano dalla maternità invece di marginalizzarle. 

   Ecco allora la proposta per un curriculum vitae originale, dove alla voce "esperienze lavorative" non sentiamo più il bisogno di giustificare con vergogna il periodo di "inattività" della maternità, ma dove fiere possiamo scrivere: 

  • Mamma a tempo pieno, contratto a vita. 
  • Competenze acquisite: Grande adattabilità, capacità organizzative, rapidità nella risoluzione dei problemi...

   Certo per permettere alle mamme di riprendere a lavorare serenamente, riconoscerne lo statuto e le qualità non è che un inizio, fondamentale ma non sufficiente. E' infatti necessario anche proporre alle donne degli orari di lavoro più flessibili, compatibili con gli impegni della famiglia. 
E si può fare ancora di più per esempio prolungando la maternità e rivalutando la paternità, cioè il periodo di congedo del papà alla nascita di un figlio.
Infine una proposta in termini di asili nido che corrisponda alla domanda resta senza dubbio la condizione sine qua non per sostenere il lavoro delle donne.

   Insomma una volta accertato che la maternità-paternità non è una malattia invalidante, ma una grande opportunità di crescita, ci rendiamo conto che c'è ancora molto da fare per rendere la nostra società più a misura d'uomo... e di bambino!




sabato 28 luglio 2012

Parto indolore I love you!

L'analgesia peridurale in Italia è garantita al 16% delle donne


Adamo ed Eva di Fernando Botero
Si legge nella Genesi che il Signore, dopo essersi accorto che Adamo ed Eva avevano disobbedito mangiando la mela del peccato, si avvicino' loro maledendoli con queste parole:


- Alla donna disse:
     "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue             gravidanze, con dolore partorirai figli."


                    All'uomo disse:
"...maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita." -
(Genesi 3)

Ora, avete già visto un uomo privarsi delle meravigliose tecnologie agricole per trarre il cibo dalla terra con dolore? E allora perché noi donne dovremmo privarci della meravigliosa invenzione dell'epidurale che ci solleva dai dolori del parto? Perché c'è ancora tanta resistenza e diffidenza nei confronti del parto indolore? Che sia una questione culturale? E se a partorire fossero gli uomini?... 

Provocazioni a parte, scrivo questo per sostenere la causa dell'epidurale in Italia, perché il parto in analgesia sia garantito a tutte le donne 24 ore su 24 e gratuitamente.

Informazioni più dettagliate sull'epidurale si possono trovare qui:
AIPA (Associazione italiana parto in analgesia): www.aipa-italia.it
O.N.DA (Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna): www.ondaosservatorio.it
Venite a firmare la petizione su: www.firmiamo.it/analgesiaepiduralegratuitaegarantita

martedì 10 luglio 2012

Higgs e la particella di Dio











Il bosone di Higgs

C'era una volta un signore con la barba lunga e bianca che viveva solo come un cane nel bel mezzo del niente assoluto. Allora Dio, questo era il suo nome, siccome nel nulla si annoiava mortalmente si invento' l'universo. Creo' così il fuoco, l'acqua, la terra, l'aria, le piante, gli animali, l'uomo e tutto il resto. Ci mise sei giorni e il settimo, stanco ma soddisfatto, si riposo'...
Ecco una delle mie storie preferite: quest'uomo barbuto, da bambina, mi affascinava quanto il principe azzurro e l'incredibile creazione dell'universo mi appassionava più dei viaggi di Gulliver. Mi piaceva soprattuto perché, anche se piccola, mi faceva sentire parte di un disegno, di un progetto divino.
Ma oggi, che qualche scienziato pazzo ha trovato il tassello mancante alla fisica contemporanea, quell'ultima particella fondamentale che dà origine alla materia e che è dunque alla base di tutto, cosa diro' a mia figlia?
Si può' raccontare una storia che abbia per protagonista il bosone di Higgs e sia ambientata in un acceleratore di particelle? Forse. E se capisse subito che non siamo altro che l'incontro fortuito di qualche elemento microscopico? E peggio, se  un giorno mi chiedesse chi ha dato origine a queste particelle? 
C'era una volta un signore con la barba lunga e bianca...

giovedì 5 luglio 2012

mercoledì 4 luglio 2012

"Tutto è linguaggio"

Una manciata di anni fa, un ometto dagli occhi scuri scuri che parlava la lingua di Molière mi fece scoprire un terreno inesplorato, a me completamente sconosciuto: quello della psicanalisi infantile. 
Ignoro per quale assurda ragione questo individuo appena conosciuto, affetto da una grave allergia alla scuola che fin dalla primissima infanzia lo costringeva a scorrazzare per i campi di calcio durante le ore di lezione, mi abbia messo in mano un giorno un libro di Françoise Dolto. Fatto sta che qualche anno più tardi questo strano individuo mi ha resa madre di nostra figlia e chissà cosa ci riserva ancora il futuro... 2, 3, 4... va beh non esageriamo!
Il titolo del libro in questione, rivelatore emblematico del pensiero di Françoise Dolto, pediatra, psichiatra e madre indiscutibile della psicanalisi infantile è "Tout est langage", letteralmente tutto è linguaggio.




   Al bambino, secondo questa affermazione, bisognerebbe dire tutto. Più precisamente tutta la verità. Nessun argomento è tabù quando si parla con i bambini, nemmeno la morte o la malattia. Non si nasconde ad un bambino la morte di una persona cara per esempio la nonna. Sarebbe sbagliato dirgli, come si sente fare spesso, che la nonna è partita per un lungo viaggio perché cosi' lasciamo il nostro bimbo ad aspettare Godot, visto che lo sa che da un viaggio si torna e si porta anche qualche bel souvenir... Bisogna tra l'altro tener presente che spesso il bambino sa già come stanno le cose (l'ha sicuramente sentito finché la mamma parlava sotto voce al telefono col papà*...), e finge di credere alle nostre bugie per paura di contrariarci. Ma lo mettiamo cosi' in una posizione molto scomoda. Per non farlo soffrire lo facciamo soffrire due volte.

   E non bisogna nemmeno pensare che ci sia un'età alla quale si può iniziare a parlare ad un bambino. Non sappiamo come un bambino appena nato (e anche prima!) capisca, o meglio colga, quello che gli viene detto. Ma di fatto  quando un bambino viene rassicurato verbalmente su una certa situazione ne trova giovamento. Per restare sullo stesso esempio si può dire ad un bambino appena nato (e insisto: anche prima) che ha perso la nonna: "la mamma è molto triste perché la nonna non c'è più, ed è dispiaciuta di farti sentire la sua sofferenza ma in questo momento non può fare altrimenti" il bambino è senza dubbio più calmo e sereno di un bambino che percepisce il dolore della madre senza che questa glielo abbia spiegato. Ditemi che questa non è comprensione?!... Ed anche se la notizia data è tremenda, il bambino ha più risorse di un adulto per superarla se gli viene spiegata con parole adatte alla sua età e al suo grado di maturità.

   Certo ai bambini si può anche dire "questa cosa non ti riguarda", per esempio se i genitori litigano non c'è motivo di spiegargliene le ragioni, mentre è fondamentale dire che la mamma e il papà sono in un momento in cui non vanno d'accordo, ma che lui non c'entra niente e che anche se l'amore tra la mamma e il papà può' finire, quello verso di lui resterà sempre intatto. Questa spiegazione evita al bambino il calvario del senso di colpa, perché tutti i bambini quando sentono litigare i genitori credono che sia a causa loro e temono di essere abbandonati (non è successo anche a noi?). La cosa da evitare quando c'è "maretta" in casa è il silenzio o la nonchalance, il far finta di niente, perché questo impedisce al bambino di progredire.

   Certo qui ho portato esempi un po' estremi, proprio per sottolineare che si può dire tutto. Ma il discorso vale anche per cose più' banali e quotidiane. Si racconta al bambino quello che facciamo quando lo laviamo, lo cambiamo, gli prepariamo da mangiare... Gli si dice dove lo portiamo quando usciamo, ma non così come se parlassimo al vento: ci avviciniamo, lo guardiamo negli occhi e gli diciamo "andiamo dal dottore-dalla baby-sitter...", così ha il tempo di prepararsi all'evento e si sente partecipe, importante, non un pacchetto da portare qua e là... 


   I bambini hanno bisogno di essere rassicurati, ma solo la verità li rassicura. Imbrogliarli o tenerli allo scuro, anche se pensiamo di farlo per il loro bene, li mette in difficoltà e ne compromette lo sviluppo.


* A proposito di quanto i bambini, anche piccoli, ascoltino attentamente i discorsi dei grandi: qualche settimana fa, mia figlia di quasi un anno e mezzo, stava giocando nel salone con degli amichetti e sembrava davvero concentratissima sul suo gioco. Nel frattempo io parlavo con altre mamme del più e del meno ed in particolare del come abbandonare il pannolino. Qualche secondo più tardi mi giro e mi ritrovo il grillo (mia figlia) li' davanti, che mi guarda: era andata a prendere il vasetto e me lo tendeva. Ma tu non stavi giocando?...


lunedì 2 luglio 2012

Io Tarzan tu Jane... e poi? - Sull'educazione

Dunque ci siamo! Dopo cinque minuti di copulazione, nove mesi di attesa e dodici ore di travaglio (ditemi se questa è giustizia?!) il bimbo è finalmente arrivato... Siamo diventati genitori.  Anche il dizionario ci dà ragione, per essere genitore basta riprodursi, genitore è infatti "colui che genera, che dà vita". Io Tarzan, tu Jane... 
Eppure, una volta esaurito l'atto più o meno frenetico del riprodursi, spente le urla soffocate della partoriente, esploso il grido sincero di chi è appena nato ed ha già compiuto il viaggio più lungo della vita... cosa resta di questa misera etimologia? Poco. E chi glielo spiega ora ai poveri Tarzan e Jane quello che bisogna fare? Hanno imparato a cambiare i pannolini, a sterilizzare i biberon, a camuffare le occhiaie, persino ad aprire un lettino da campeggio... ma basterà? Perché in effetti, quello che non ci dice il dizionario è che il termine genitore implica e sottintende quello di educatore, e qui le cose rischiano di complicarsi un po'.  
Il punto allora è definire cosa significa educare. Per rispondere parto da un presupposto. L'educazione non è un qualcosa che si inculca o che si impone, ma qualcosa che deve scaturire dal bambino stesso (Maria Montessori), come un percorso che il bimbo fa per diventare grande, fino ad arrivare a capire da solo le cose possibili e quelle non possibili. Il ruolo del genitore è quello di accompagnare il bambino in questo cammino. Come? Aiutandolo a diventare autonomo.  Essere genitore cioè non vuol dire fare tutto al posto del bambino perché non gli manchi nulla. Questo significa renderlo dipendente e ciò' è dannoso per lui e per il suo sviluppo. Il genitore-educatore insegna al bimbo come fare da solo, come arrangiarsi. Mettendo come unico limite tutto ciò' che può' essere pericoloso per lui o per gli altri. E poco importa se mangiando lo yogurt disegna un Picasso o se impiega due ore per mettersi un paio di scarpe (insomma una sola e nel piede sbagliato...).
Certo ogni bambino ha poi la sua specificità, ma le linee generali possono essere comuni e fanno capo all'idea che il bambino, prima di essere tale, è una persona con le sue idee, i suoi umori e la sua personalità. 
Personalmente penso che l'educazione di un bambino non si improvvisi, ma si impari ed è un peccato che non venga insegnata a scuola tra un'ora di fisica e una di filosofia o in qualche corso pre-post-parto, perché l'educazione dei bambini è di fatto alla base della nostra società. I nostri figli sono gli adulti di domani, i cittadini del futuro. Eccovi allora lasciati con una bella responsabilità (leggi anche gatta da pelare...).

giovedì 21 giugno 2012

Una giornata storta

Iniziamo subito, alla sveglia del mattino. Biberon a parte, niente va.
Vuoi un biscotto? Si! No, quello no, neanche quello, no, no... In effetti il biscotto non lo vuole. Allora ci vestiamo e andiamo al parco? Si! Ci si prepara in fretta, neanche il tempo di incrociare il proprio sguardo nello specchio, andiamo. Arriviamo al parco in tempo record, l'eccitazione dura due minuti, poi basta. Andiamo a casa? Sei stanca? Si. Torniamo. Se hai sonno la mamma ti mette a letto. Nessuna risposta, che in genere su questo argomento significa si. A letto. 10 minuti di silenzio totale, ah era davvero stanca si è addormentata... Mammaaaa! Fingo di non sentire, finirà ben per addormentarsi, lo fa sempre. 5 minuti di silenzio, vedi, avevo ragione, dorme... Mammaa! Mammaaa! Mammaaaa! Va beh, lasciamo perdere. Vado a prenderla. Non vuoi dormire? No! Ok non fa niente, dormirai oggi pomeriggio, la mamma ti lascia giocare. Noooo! Piagnucolii. Mamaaaan! La mamma gioca un po' con te. Coloriamo? Si. Coloro. No, qualcosa non va, si stizzisce, non sto colorando bene credo. Cambio colore. Meglio? No. Lasciamo perdere anche i colori. Facciamo le bolle di sapone? Si, si le bolle si. Meno male. Vuole soffiare lei. Soffia. Le bolle non escono, non escono, unhhhhh! Maman, mammaa! Emma non soffi abbastanza forte, dai le fa la mamma le bolle fin che non hai imparato. Non le interessa più. Ora basta, si arrangiasse. Torno alle mie cose. La metto in modalità autogestione... Si, magari avessi trovato questo pulsante. No, di giocare da sola oggi non ne vuole sapere. Piange. Piange. Urla. Il papà si sveglia. Cosa succede? Sinceramente non lo so. Va beh mi faccio il caffè. Ah grazie per il contributo. E cosa vuoi che faccia? E io? Lasciamo perdere. In qualche modo arriviamo all'ora di pranzo. L'ora magica. Per fortuna adora mangiare. Seggiolone. La pasta, "patà" come dice lei tutta contenta, è servita. Ahh, un po' di pace. In genere, ma oggi no. Dopo il primo boccone stop. Basta. Frutta? Un po' di frutta passa. Dopo pranzo si parte per andare dalla baby-sitter. Tre ore di tregua. Al ritorno il disco sembra essersi interrotto alla stesso punto. Pianti. Urli. Bagnetto, no! Fatto di forza. I vicini devono aver creduto che cercavamo di annegarla nella vaschetta talmente gridava. Neanche i puffi spara-acqua le hanno strappato un sorriso. Cena copia-incolla del pranzo. A nanna, crolla. Buonanotte!
Giornate cosi' mi fanno pensare che abbiamo sbagliato tutto.
Per fortuna che di giornate cosi' ce ne sono poche e sono in genere accompagnate da un premolare che spinge per uscire. E meno male che ho una schiera di persone che possono testimoniare che è una bimba adorabile, sempre contenta, tranquilla, che si addormenta facilmente e che mangia di gusto. Perché queste giornate, anche se rare, sono così' lunghe che ci fanno dimenticare tutto il resto.
Chissà se capita solo a noi...

martedì 19 giugno 2012

Istinto materno... no grazie!

Premetto già che il concetto di istinto materno, inteso come desiderio di diventare madri, mi sembra al limite della credibilità. Cosa siamo, gatte in calore? Vacche gravide? Facoceri in astinenza? Personalmente preferisco pensare all'arrivo di un figlio come all'aspirazione di una persona, al progetto di una coppia, o più in generale al desiderio di creare qualcosa, di dar vita.
Detto questo, pero', qui mi voglio soprattutto schierare contro il principio d'istinto materno secondo cui ogni madre saprebbe, istintivamente, come comportarsi con il proprio cucciolo, fin dalla nascita, proprio come gli animali. L'istinto materno le guiderebbe in questa avventura fantastica fatta di: sveglie a ripetizione in piena notte, pannolini puzzolenti a catena, pianti incomprensibili, occhiaie, sonno, fatica, ah! un piccolo rigurgito sulla camicetta nuova giusto prima di uscire... Insomma, grazie ad esso, una brava mamma non sbaglierebbe mai, saprebbe sempre cosa fare e il tutto con il sorriso sulle labbra! 
Mi viene allora da pensare che questa idea sia nata da una mente diabolicamente geniale di sesso maschile per liberare generazioni di padri dalla responsabilità genitoriale. Eppure questo istinto ci si è appiccicato addosso come una zecca, al punto che alcune madri ne sarebbero perfino gelose: convinte di essere la persona più adatta a prendersi cura del proprio bambino, dimenticano papà (che non fanno mai le cose bene come le fa la mamma), nonni, zii... Altre, più insicure, rischierebbero invece di sentirsi sempre imperfette, incapaci e inadeguate. Altre ancora vivrebbero piuttosto una pesante sensazione di oppressione di fronte a tante responsabilità. Le donne più intelligenti infine (o sfortunate che dir si voglia), potrebbero anche trovarsi a vivere tutti questi stati d'animo in una volta sola con conseguente deriva schizofrenica: "al mio pulcino ci penso io, solo io so cosa è bene per lui, pero' in realtà non so proprio cosa fare, ho paura di sbagliare e poi, santo cielo, non c'è nessuno che possa occuparsene, tocca tutto a me?!" Ecco insomma...
Smettiamo allora di essere preda del nostro ipotetico istinto materno. Oggi possiamo dire senza vergogna che essere mamma non significa avere sempre la risposta giusta, la disponibilità totale, la pazienza mariana. Le mamme d'oggi hanno bisogno di essere sostenute, aiutate, appoggiate. L'istinto materno non basta più. Crescere un figlio è un'impresa difficile, che si impara e possibilmente si condivide.
Parola d'ordine per noi mamme: delegare! Chiediamo ai dottori, che se sono bravi possono spiegarci tante cose, o ai nonni che hanno un po' più di esperienza. E lasciamo soprattutto fare i papà che oggi giorno sembrano davvero aver voglia di investirsi nel loro ruolo di padre (trattasi di nascente istinto paterno?!) e sono a volte più bravi di noi: più pazienti, più delicati, più calmi. 
Allora, mamme di tutto il mondo, unitevi! Unitevi per liberarvi dall'istinto materno e accettare infine di essere madri eternamente in divenire, piene di dubbi e di paure.

giovedì 14 giugno 2012

Elogio a Violetta

Questo post ha rischiato di intitolarsi "Requiem for Violetta"... che sciagura!
Pensavamo fosse persa per sempre: caduta nel tram o involata sulla strada. Ed invece, dopo giorni di ricerche disperate, Violetta è stata avvistata. Si era persa in una corsia del supermercato, tra il jambon de Parme et la rosette. Era là, buttata su uno scaffale, come fosse un peluche qualunque...  Violetta, lei, l'unica, l'insostituibile Reine dei peluche! L'abbiamo appena recuperata nel sollievo generale (amici e parenti sono stati immediatamente avvisati). Certo Emma era contenta di ritrovarla, ma noi siamo piombati in una gioia euforica, assurda... ci è mancata tantissimo: con la sua puzzetta schietta e il suo igiene del tutto personale, Violetta fa ormai parte della nostra famiglia. Compagna di tante notti, consolatrice di ogni piccolo dolore, amica fedele e discreta, Violetta non ha mai mancato al suo ruolo di doudou.
Si' perché, scherzi a parte, il Doudou, tecnicamente "oggetto transizionale" (Winnicott), è davvero un compagno fondamentale per ogni bambino. Che sia un peluche, un orsacchiotto o una copertina di linuxiana memoria, non fa differenza: il doudou è un oggetto prezioso. È, in parole semplici, il sostituto della mamma quando la mamma non c'è. E' il primo oggetto distinto dal bambino, perché nei primi mesi il bambino non sa  di essere altro dalla madre. È ciò che permette di transitare, di passare gradualmente e dolcemente ad uno stato di indipendenza. Il doudou prepara il bambino al distacco. Prima la mamma, poi il peluche e infine da solo. E' uno stato di mezzo. Uno spazio simbolico che accompagna il bambino nel suo percorso d'autonomia. Per noi genitori resta un oggetto misterioso, quasi magico e forse carico di nostalgici ricordi.

sabato 9 giugno 2012

Baby sitter - Nounou - Tata ou La séparation en douceur

Da qualche settimana facciamo l'esperienza della baby-sitter o, come la chiama Emma con il suo accento francese, Tatà! E con questa anche l'esperienza dei pianti disperati al momento della separazione. Cosi' ho iniziato a pormi il problema di come evitare questi urli che mi facevano soffrire. Dopo molte riflessioni, pero', mi sono resa conto che questi pianti non andavano affatto evitati, che erano assolutamente normali anzi necessari.
In effetti era a me, mamma perfezionista che vorrebbe che tutto andasse sempre per il verso giusto, che questi pianti non piacevano, Emma invece ne aveva bisogno: era il suo modo di esprimere la sua tristezza, il suo disagio di fronte ad un cambiamento che non aveva scelto, che le era stato imposto.
Cosi' ho iniziato, al momento del pianto, a sussurrarle dolcemente all'orecchio cose del tipo: "lo so topolino che sei triste, che vorresti stare con la mamma, LO CAPISCO, ma la mamma deve andare a lavorare e allora tu resti a giocare con Tatà e stasera la mamma ti viene a prendere...". Allora Emma si è sentita capita, i pianti non sono cessati miracolosamente, ma si calmano di giorno in giorno ed ho speranza che col tempo... Già, il tempo: il tempo di cui lei aveva bisogno e che io non ho saputo accordarle. Volevo così' tanto che le cose andassero bene da subito che non ho preso il tempo di ascoltarla, di capire il suo disagio, di accettare i suoi pianti e di aiutarla a superarli.

martedì 1 maggio 2012

Arte astratta con firma


"Grandir, c'est se séparer" F. Dolto

Una delle mie più ricorrenti riflessioni a ruota sciolta sul tema della genitorialità, consiste nel pensare che l'amore verso i figli è in sé il più contraddittorio degli amori. Quando si ama qualcuno, un marito, un amante,  un amico, si desidera che questa persona ci stia vicino il più a lungo possibile, idealmente per sempre, e si vive un'eventuale rottura come qualcosa di molto doloroso che segna la fine dell'amore stesso.
Al contrario, l'amore per un figlio è proprio tutto ciò che ci porta a renderlo autonomo, in grado di fare da solo, fino al punto di non avere più bisogno di noi e di abbandonarci. Si ama cioè un figlio per lasciarlo libero e perché divenga altro, indipendente da noi. Siamo piuttosto noi genitori ad avere bisogno dei figli per tutta la vita ed è per questo che a volte facciamo fatica a lasciargli prendere il volo.
Alcune volte, noi madri tendiamo a voler riprodurre lo stato di grazia della gravidanza, in cui al nostro bambino non mancava nulla, creandogli attorno un utero virtuale che si estende all'infinito (Aldo Naouri). A questi bambini superprotetti, pero', non si dà la possibilità di crescere. La fusione con la madre impedisce loro di imparare a sbrigarsela da soli e ad avere fiducia nelle proprie capacità. Il rischio è di farne degli adulti infelici e incapaci di prendere il loro posto nella società (Boris Cyrulnik).
Da qui l'importanza fondamentale, secondo me, di fare del proprio ruolo di genitore un percorso affettivo verso il distacco.