giovedì 21 giugno 2012

Una giornata storta

Iniziamo subito, alla sveglia del mattino. Biberon a parte, niente va.
Vuoi un biscotto? Si! No, quello no, neanche quello, no, no... In effetti il biscotto non lo vuole. Allora ci vestiamo e andiamo al parco? Si! Ci si prepara in fretta, neanche il tempo di incrociare il proprio sguardo nello specchio, andiamo. Arriviamo al parco in tempo record, l'eccitazione dura due minuti, poi basta. Andiamo a casa? Sei stanca? Si. Torniamo. Se hai sonno la mamma ti mette a letto. Nessuna risposta, che in genere su questo argomento significa si. A letto. 10 minuti di silenzio totale, ah era davvero stanca si è addormentata... Mammaaaa! Fingo di non sentire, finirà ben per addormentarsi, lo fa sempre. 5 minuti di silenzio, vedi, avevo ragione, dorme... Mammaa! Mammaaa! Mammaaaa! Va beh, lasciamo perdere. Vado a prenderla. Non vuoi dormire? No! Ok non fa niente, dormirai oggi pomeriggio, la mamma ti lascia giocare. Noooo! Piagnucolii. Mamaaaan! La mamma gioca un po' con te. Coloriamo? Si. Coloro. No, qualcosa non va, si stizzisce, non sto colorando bene credo. Cambio colore. Meglio? No. Lasciamo perdere anche i colori. Facciamo le bolle di sapone? Si, si le bolle si. Meno male. Vuole soffiare lei. Soffia. Le bolle non escono, non escono, unhhhhh! Maman, mammaa! Emma non soffi abbastanza forte, dai le fa la mamma le bolle fin che non hai imparato. Non le interessa più. Ora basta, si arrangiasse. Torno alle mie cose. La metto in modalità autogestione... Si, magari avessi trovato questo pulsante. No, di giocare da sola oggi non ne vuole sapere. Piange. Piange. Urla. Il papà si sveglia. Cosa succede? Sinceramente non lo so. Va beh mi faccio il caffè. Ah grazie per il contributo. E cosa vuoi che faccia? E io? Lasciamo perdere. In qualche modo arriviamo all'ora di pranzo. L'ora magica. Per fortuna adora mangiare. Seggiolone. La pasta, "patà" come dice lei tutta contenta, è servita. Ahh, un po' di pace. In genere, ma oggi no. Dopo il primo boccone stop. Basta. Frutta? Un po' di frutta passa. Dopo pranzo si parte per andare dalla baby-sitter. Tre ore di tregua. Al ritorno il disco sembra essersi interrotto alla stesso punto. Pianti. Urli. Bagnetto, no! Fatto di forza. I vicini devono aver creduto che cercavamo di annegarla nella vaschetta talmente gridava. Neanche i puffi spara-acqua le hanno strappato un sorriso. Cena copia-incolla del pranzo. A nanna, crolla. Buonanotte!
Giornate cosi' mi fanno pensare che abbiamo sbagliato tutto.
Per fortuna che di giornate cosi' ce ne sono poche e sono in genere accompagnate da un premolare che spinge per uscire. E meno male che ho una schiera di persone che possono testimoniare che è una bimba adorabile, sempre contenta, tranquilla, che si addormenta facilmente e che mangia di gusto. Perché queste giornate, anche se rare, sono così' lunghe che ci fanno dimenticare tutto il resto.
Chissà se capita solo a noi...

martedì 19 giugno 2012

Istinto materno... no grazie!

Premetto già che il concetto di istinto materno, inteso come desiderio di diventare madri, mi sembra al limite della credibilità. Cosa siamo, gatte in calore? Vacche gravide? Facoceri in astinenza? Personalmente preferisco pensare all'arrivo di un figlio come all'aspirazione di una persona, al progetto di una coppia, o più in generale al desiderio di creare qualcosa, di dar vita.
Detto questo, pero', qui mi voglio soprattutto schierare contro il principio d'istinto materno secondo cui ogni madre saprebbe, istintivamente, come comportarsi con il proprio cucciolo, fin dalla nascita, proprio come gli animali. L'istinto materno le guiderebbe in questa avventura fantastica fatta di: sveglie a ripetizione in piena notte, pannolini puzzolenti a catena, pianti incomprensibili, occhiaie, sonno, fatica, ah! un piccolo rigurgito sulla camicetta nuova giusto prima di uscire... Insomma, grazie ad esso, una brava mamma non sbaglierebbe mai, saprebbe sempre cosa fare e il tutto con il sorriso sulle labbra! 
Mi viene allora da pensare che questa idea sia nata da una mente diabolicamente geniale di sesso maschile per liberare generazioni di padri dalla responsabilità genitoriale. Eppure questo istinto ci si è appiccicato addosso come una zecca, al punto che alcune madri ne sarebbero perfino gelose: convinte di essere la persona più adatta a prendersi cura del proprio bambino, dimenticano papà (che non fanno mai le cose bene come le fa la mamma), nonni, zii... Altre, più insicure, rischierebbero invece di sentirsi sempre imperfette, incapaci e inadeguate. Altre ancora vivrebbero piuttosto una pesante sensazione di oppressione di fronte a tante responsabilità. Le donne più intelligenti infine (o sfortunate che dir si voglia), potrebbero anche trovarsi a vivere tutti questi stati d'animo in una volta sola con conseguente deriva schizofrenica: "al mio pulcino ci penso io, solo io so cosa è bene per lui, pero' in realtà non so proprio cosa fare, ho paura di sbagliare e poi, santo cielo, non c'è nessuno che possa occuparsene, tocca tutto a me?!" Ecco insomma...
Smettiamo allora di essere preda del nostro ipotetico istinto materno. Oggi possiamo dire senza vergogna che essere mamma non significa avere sempre la risposta giusta, la disponibilità totale, la pazienza mariana. Le mamme d'oggi hanno bisogno di essere sostenute, aiutate, appoggiate. L'istinto materno non basta più. Crescere un figlio è un'impresa difficile, che si impara e possibilmente si condivide.
Parola d'ordine per noi mamme: delegare! Chiediamo ai dottori, che se sono bravi possono spiegarci tante cose, o ai nonni che hanno un po' più di esperienza. E lasciamo soprattutto fare i papà che oggi giorno sembrano davvero aver voglia di investirsi nel loro ruolo di padre (trattasi di nascente istinto paterno?!) e sono a volte più bravi di noi: più pazienti, più delicati, più calmi. 
Allora, mamme di tutto il mondo, unitevi! Unitevi per liberarvi dall'istinto materno e accettare infine di essere madri eternamente in divenire, piene di dubbi e di paure.

giovedì 14 giugno 2012

Elogio a Violetta

Questo post ha rischiato di intitolarsi "Requiem for Violetta"... che sciagura!
Pensavamo fosse persa per sempre: caduta nel tram o involata sulla strada. Ed invece, dopo giorni di ricerche disperate, Violetta è stata avvistata. Si era persa in una corsia del supermercato, tra il jambon de Parme et la rosette. Era là, buttata su uno scaffale, come fosse un peluche qualunque...  Violetta, lei, l'unica, l'insostituibile Reine dei peluche! L'abbiamo appena recuperata nel sollievo generale (amici e parenti sono stati immediatamente avvisati). Certo Emma era contenta di ritrovarla, ma noi siamo piombati in una gioia euforica, assurda... ci è mancata tantissimo: con la sua puzzetta schietta e il suo igiene del tutto personale, Violetta fa ormai parte della nostra famiglia. Compagna di tante notti, consolatrice di ogni piccolo dolore, amica fedele e discreta, Violetta non ha mai mancato al suo ruolo di doudou.
Si' perché, scherzi a parte, il Doudou, tecnicamente "oggetto transizionale" (Winnicott), è davvero un compagno fondamentale per ogni bambino. Che sia un peluche, un orsacchiotto o una copertina di linuxiana memoria, non fa differenza: il doudou è un oggetto prezioso. È, in parole semplici, il sostituto della mamma quando la mamma non c'è. E' il primo oggetto distinto dal bambino, perché nei primi mesi il bambino non sa  di essere altro dalla madre. È ciò che permette di transitare, di passare gradualmente e dolcemente ad uno stato di indipendenza. Il doudou prepara il bambino al distacco. Prima la mamma, poi il peluche e infine da solo. E' uno stato di mezzo. Uno spazio simbolico che accompagna il bambino nel suo percorso d'autonomia. Per noi genitori resta un oggetto misterioso, quasi magico e forse carico di nostalgici ricordi.

sabato 9 giugno 2012

Baby sitter - Nounou - Tata ou La séparation en douceur

Da qualche settimana facciamo l'esperienza della baby-sitter o, come la chiama Emma con il suo accento francese, Tatà! E con questa anche l'esperienza dei pianti disperati al momento della separazione. Cosi' ho iniziato a pormi il problema di come evitare questi urli che mi facevano soffrire. Dopo molte riflessioni, pero', mi sono resa conto che questi pianti non andavano affatto evitati, che erano assolutamente normali anzi necessari.
In effetti era a me, mamma perfezionista che vorrebbe che tutto andasse sempre per il verso giusto, che questi pianti non piacevano, Emma invece ne aveva bisogno: era il suo modo di esprimere la sua tristezza, il suo disagio di fronte ad un cambiamento che non aveva scelto, che le era stato imposto.
Cosi' ho iniziato, al momento del pianto, a sussurrarle dolcemente all'orecchio cose del tipo: "lo so topolino che sei triste, che vorresti stare con la mamma, LO CAPISCO, ma la mamma deve andare a lavorare e allora tu resti a giocare con Tatà e stasera la mamma ti viene a prendere...". Allora Emma si è sentita capita, i pianti non sono cessati miracolosamente, ma si calmano di giorno in giorno ed ho speranza che col tempo... Già, il tempo: il tempo di cui lei aveva bisogno e che io non ho saputo accordarle. Volevo così' tanto che le cose andassero bene da subito che non ho preso il tempo di ascoltarla, di capire il suo disagio, di accettare i suoi pianti e di aiutarla a superarli.