domenica 8 dicembre 2013

Quando il bambino è violento, tra pulsione e morale...

Non parlo qui dei bambini costantemente violenti che mordono e picchiano in continuazione e senza motivazione apparente visto che questo comportamento è in genere l'espressione di una sofferenza particolare e va analizzato singolarmente, caso per caso, da un esperto.

Parlo di un comportamento normale caratterizzato da una certa aggressività, che tocca chi più chi meno tutti i bambini. Anche mia figlia ogni tanto spinge e infastidisce gli altri bambini per esempio quando siamo al parco. Questa situazione è spesso vissuta con imbarazzo e con difficoltà da noi genitori che non sappiamo più come fare per frenare gli istinti brutali del nostro piccolo demonio… A chi non è mai successo? E allora che fare?

A volte per fermare un bambino che ha un comportamento aggressivo gli si dà una sberla con l'intenzione precisa di fargli capire che non deve farlo più. Personalmente non credo che un bambino possa comprendere qualcosa da un messaggio così palesemente illogico e contraddittorio.

Altre volte si decide di punirlo. Ma la punizione ha una connotazione morale: "sei stato cattivo, ti punisco perché devi essere buono". Il punto è che il bambino non usa violenza per cattiveria, lo fa perché è spinto da una pulsione, un desiderio di farlo che non è per lui né buono né cattivo, ne ha voglia e basta.

Certo il nostro ruolo di adulti è di fargli capire che non può farlo, ma come? Io penso che per prima cosa sia importante porre una regola chiara, rivolgendosi al bambino in modo fermo ma senza rabbia, abbassandosi alla sua altezza (perché si sa, le cose imposte dall'alto…) dicendo ad esempio "è vietato picchiare" o "non devi tirare i capelli". Si può aggiungere una spiegazione "perché fai male all'altro bambino". Essenziale è anche mettere delle parole sui suoi gesti perché il bambino non sa farlo, non sa ancora spiegarci le ragioni della sua aggressività e se noi lo facciamo al suo posto si sentirà capito: "so che è più forte di te, che hai tanta voglia di spingere ma non puoi farlo è vietato". Con i più recidivi si può aggiungere: "finché non riuscirai a controllarti da solo, resto vicino a te, per fermarti e aiutarti a non farlo più". Certo per l'adulto tutto ciò comporta uno sforzo di pazienza e di autocontrollo enorme e a volte logorante, ma non dobbiamo dimenticare che se per noi le regole poste sono semplici, per il bambino sono pietre miliari molto difficili da integrare e che in definitiva lo sforzo chiesto a lui è nettamente superiore al nostro!

Infine obbligare il bambino a chiedere scusa non ha una grande importanza per lui, visto che resta nell'ambito della morale "sei stato cattivo chiedi scusa". Questo può avere piuttosto un interesse per il bambino rimasto vittima che si sente riconosciuto nel danno subito, ma la cosa si risolve ancora meglio se è l'adulto a dire "piangi perché ti ha fatto male, non ha il diritto di spingerti e non lo deve fare più". Anche qui si tratta di mettere delle parole sui sentimenti che il bambino non sa ancora esprimere.

Insomma il bambino non va pensato come un adulto in miniatura perché non ha ancora in lui il concetto di morale, di buono e cattivo. Sta a noi aiutarlo a superare le diverse e difficilissime fasi della sua crescita senza giudicarlo, senza mettergli facili etichette (facili da mettere, difficilissime da togliere "sei un bambino cattivo", "sei un bambino manesco"…) e rispettandolo sempre e comunque in quanto persona in miniatura.

martedì 17 settembre 2013

E' faticoso frequentare i bambini...

Dite:
E' faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
Perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
E' piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all'altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.

Janusz Korczak

domenica 18 agosto 2013

Sculacciata e educazione

Qualche anno fa vidi in Italia una trasmissione Rai nella quale si parlava, con fare abbastanza disinvolto, di un fatto avvenuto ad un nostro connazionale in vacanza in Svezia. Quest'uomo, un padre di famiglia qualsiasi, era stato prontamente denunciato e arrestato per  aver dato, in pubblico, uno schiaffo al figlio. I giornalisti Rai raccontavano la cosa con stupore e ironia, proprio come fosse una cosa assurda, sorridendo divertiti della reazione spropositata della polizia svedese per un fatto di così poco conto.
All'epoca non ero ancora madre, ma in quanto figlia e al di là delle risatine dei giornalisti, questa storia non mi è sembrata per niente assurda. L'ho lasciata li' a depositare in un qualche cassetto polveroso della mia memoria per ritirarla fuori al momento opportuno, quando cioè anch'io sarei diventata genitore. Ed eccoci al dunque...

Picchiare un figlio è il diritto di un genitore? La sculacciata è educativa?

Al di là delle usanze o degli slogan in difesa dell'infanzia per me picchiare un bambino è una vergogna e non fa parte di un progetto educativo.

Proverò a spiegare il perché.

Dicevo, la violenza fisica procurata ad un bambino non ha nulla a che vedere con l'educazione. Picchiare un bambino è animale. Gli animali usano la violenza contro i loro cuccioli perché non hanno la parola. 
Ora, che un genitore che non ce la fa più, che è al limite della sua pazienza e sopportazione possa dare una sculacciata, credo si possa comprendere, ma questo non significa che lo fa per educare il figlio.
Io stessa mi sono resa conto che quando sono a due dita dal mollare una sberla a mia figlia è perché non ce la faccio più, ho i nervi a fior di pelle e ho fisicamente bisogno di dagliela, per sfogarmi. Non lo faccio cioè per lei, per educarla, ma per liberarmi e scaricarmi. 

Françoise Dolto consiglia alle madri che si sentono eccedere dal comportamento dei loro figli, di prendere un cuscino e di picchiarlo dicendo al bambino "ecco cosa mi fai venire voglia di farti", a questo punto il bambino capisce quello che sta succedendo e in genere le cose si calmano. Al contrario il bambino che viene effettivamente picchiato non capisce assolutamente quello che succede perché in realtà, secondo la psichiatra, il bambino gode nell'essere picchiato dalla madre. In effetti la sculacciata provoca delle sensazioni genitali, una goduria orgastica nel bambino. In questo modo il bambino che viene sculacciato fa in genere di tutto per essere picchiato ancora e si cade in un circolo vizioso. C'è dunque molto poco di educativo nella sculacciata e ancor meno nelle sberla che invece è umiliante e spinge il bambino verso derive masochiste. E' quindi importante resistere ad un bambino che ci fa uscire dai gangheri, non picchiarlo e spiegargli quello che sentiamo, al limite sfogarci su un oggetto e mettere delle parole sulle nostre azioni perché il bambino capisca. 
Certo se capita di usare violenza (e puo' capitare!) bisogna sapersi scusare e spiegare al bambino che ci ha fatto andare fuori di testa con il suo comportamento.
In conclusione, secondo me, picchiare un bambino, non è un modo di  insegnargli a crescere e diventare grande ma, al contrario, ha degli effetti perversi e devastatori sul suo sviluppo.

Un'ultima frase di Dolto per far riflettere: "ma come potrebbe una persona umana decidere di picchiare un bambino se non perché è repressa nella propria libidine?"

Dans le pays de la fessée interdite - Doc ARTE
Les étapes majeures de l'enfance - F. Dolto

domenica 28 luglio 2013

La sicurezza dei bambini in acqua - Salvagente o libertà?


Lo so, dovrei essere chiusa per ferie visto che siamo a fine luglio e invece sono ancora qui, si vede che il caldo mi ispira (a questo punto il lettore non è autorizzato a sperare che le temperature si abbassino drasticamente...)!

E visto che proprio a causa dell'afa i nostri bambini trascorrerebbero tutto il tempo a mollo (e noi con loro!) vorrei passare in rassegna i diversi supporti proposti in commercio per "assicurare" il bagno al mare o in piscina dei più piccoli.




Salvagenti, braccioli, costumi con salvagente incorporato, gilets, cinture galleggianti... i produttori si sbizzariscono. E noi, poveri genitori in erba, cosa scegliamo? Il più caro, sarà sicuramente il migliore? Il classico salvagente, niente di meglio che la tradizione? Prendo tutto cosi' son sicuro di non sbagliare? A ciascuno il suo modo di ragionare. Io, per non saper né leggere né scrivere, ho cercato di informarmi ed ecco qui quello che ho trovato.

L'indicazione principale che ho potuto leggere è che la prima cosa da escludere è proprio la più costosa: i costumi salvagente. In effetti, nonostante possano sembrare pratici e sicuri, sono il supporto più pericoloso perché se il bambino si rovescia a testa sotto ha praticamente zero possibilità di rigirarsi da solo. Detto questo, a partire dai sei mesi i salvagenti con la mutanda sembrano essere i più sicuri e stabili (ma anche qui attenzione ai ribaltoni). Dai due anni, o quando il bambino è capace di stare sdraiato mantenendo la testa, vanno bene i braccioli. Per i tre-cinque anni va bene il salvagente classico magari con aggiunta di braccioli per i genitori più scrupolosi (o ansiosi?! si' lo ammetto, io faccio cosi'...). La cintura infine, da scegliere in base al peso, va bene per i più grandi, a partire dai 5 anni.

Alla fine di questa rassegna più o meno completa pero', mi pongo un'ultima domanda, forse la sola davvero sensata:

E se questi strumenti servissero solo a rassicurare mamma e papà? E se al bambino non servisse niente di niente? Lasciare il bambino scoprire l'acqua poco a poco fin da piccolissimo, insegnargli a mettere sotto la testa senza paura, trasmettergli le basi essenziali del nuoto (un bambino appena nato puo' già imparare a galleggiare) e stargli vicino per rassicurarlo (e sorvegliarlo certo) è forse la cosa migliore. 
Probabilmente gli altri genitori, vedendoci in acqua con i nostri figli senza scafandri, catarifrangenti e galleggianti vari, prenderanno sotto braccio nostra suocera chiamandoci matti e incoscienti! Io non so se mi sento ancora pronta per questo passo, ma credo ci riflettero'...

sabato 27 luglio 2013

Far rivivere il momento della nascita

Oggi voglio parlarvi di un oggetto che a me piace molto. Un gioco così semplice da sembrare banale. In realtà si tratta di un vero e proprio strumento terapeutico, di grande impatto per il bambino. 
Eccolo qui:




Già, un tunnel semplice semplice e divertentissimo!


Lo invento' Françoise Dolto, verso la metà del '900 ed è una delle sue invenzioni più belle. Ho già parlato altrove su questo blog (vedi etichette) del contributo fondamentale che Dolto ha dato alla psicanalisi infantile a partire dal secondo dopoguerra (e ve ne parlerò sicuramente ancora!!). Questo strumento lo realizzo' all'ospedale Trousseau dove lavoro' per quasi 40'anni in una situazione di semi-clandestinità, praticando consultazioni gratuite, o quasi. I bambini in terapia infatti erano tenuti a portare soltanto un piccolo oggetto, per esempio un sassolino, che simbolizzasse il loro desiderio di partecipare alla terapia. Ma questa è un'altra storia...

E' ad ogni modo in questo clima di grandi libertà e originalità intellettuali che realizza le sue scoperte più importanti sull'inconscio del bambino e crea questo famoso tunnel: uno strumento in grado di riprodurre l'esperienza del vissuto regressivo della nascita. Si tratta, come vedete nella foto, di un tunnel di colore scuro inanellato che il bambino deve attraversare da parte a parte.


Da un punto di vista psicanalitico, attraversando il tunnel, poco a poco il bambino riproduce e ripara il momento della nascita soprattutto se questa è avvenuta in maniera traumatica. Rivivendo in maniera simbolica la nascita (essere in un tunnel buio, bloccati e cercare di uscire senza possibilità di fare marcia indietro, attraversarlo piano piano a quattro zampe, in posizione quasi fetale) il bambino ricostruisce inconsciamente questo momento traumatico, il primo evento doloroso della vita, e puo' superare eventuali turbamenti.

Io l'ho provato sia in quanto mamma sia come tagesmutter e devo dire che ogni volta che lo tiro fuori la curiosità del bambino è subito risvegliata. Qualcuno ha paura ad entrare, altri si gettano dentro e poi sembrano non riuscire più ad uscire, ma piano piano ogni bambino impara a conoscere e a capirne il funzionamento e il divertimento è assicurato!

A me piace davvero tanto, in genere non do' consigli, ma questo lo consiglio davvero a tutti (una volta piegato diventa una sottiletta e si infila dietro una porta o un armadio e il costo è davvero modico intorno ai 15 euro)!

Ho letto che anche Salvador Dali', affascinato da questo oggetto, abbia cercato un giorno di attraversarlo, senza riuscirci...

sabato 1 giugno 2013

Se a partorire fossero gli uomini...

Se a partorire fossero gli uomini:

1. La gravidanza durerebbe al massimo 15 giorni e solo in periodo di pausa del campionato calcistico;

2. Ci sarebbe un vaccino contro nausee, stanchezza e mal di schiena;

3. L'anestesia peridurale sarebbe assicurata e gratuita in tutti gli ospedali del mondo;

4. La vescica si troverebbe a distanza adeguata dall'utero e potrebbero fare pipì in piedi (ah no scusate questo privilegio già ce l'hanno!);

5. L'episiotomia sarebbe un super alcolico "cameriere un'episiotomia per favore (si certo, con ghiaccio...)";

6. I bambini sarebbero programmati per non svegliarsi di notte;

7.  Le protesi al seno sarebbero rimborsate dalla mutua;

8. Un gruppo di ingenieri avrebbe inventato un robot che pulisce il pavimento, rifà il letto, stira, fa da mangiare...;

9. Avrebbero diritto a una giornata di riposo una volta a settimana (noi ci dobbiamo accontentare di una mezza giornata per trimestre);

10. Ma se a partorire fossero gli uomini, noi donne troveremmo comunque il modo di lamentarci...

giovedì 9 maggio 2013

La moda a modo mio

Pomeriggio di shopping con mia figlia, 2 anni e mezzo.

Indecisa sul colore del maglione le chiedo: "Grillo, aiutami, tu quale preferisci il verde o il blu?" E lei col fare deciso di chi sa mi indica il blu e dice: "verde"...
Ma come farei senza di te?!

mercoledì 1 maggio 2013

domenica 21 aprile 2013

De Sciences Politiques à Assistante Maternelle - Ou comment ruiner sa carrière et réussir son rêve

Nul chemin semble plus long et inaccessible de celui qui sépare les sciences politiques d'une simple assistante maternelle. Et pourtant, à la place de ce que l'évidence trompeuse fait paraître comme un non-sens, il y a pour moi un lien étroit. 
Lorsque j'ai choisi sciences po j'avais 20 ans et le rêve magnifique que créer une société meilleure était possible. Ce rêve je le revendique encore maintenant. Ce n'était pas le rêve à être naïf, mais peut-être le fait de croire que cette transformation pouvait se réaliser à travers les voies tortueuses de la politique. Il a fallu quelques années et nombreuses déceptions idéologiques avant que je réalise enfin que mes rêves étaient incompatibles avec les stratégies d'un gouvernement, quel qu'il soit. Malgré cela mon idéal reste intact: contribuer à la naissance d'une société plus humaine, ce que j'aime appeler un "nouveau humanisme". 
Ainsi l'idée que le fait de respecter un enfant, en répondant à ses besoins, en écoutant ses envies, en lui faisant accepter ses frustrations, en l'aidant à grandir, à s'épanouir et à devenir autonome en toute sécurité, fera de lui un adulte meilleur me remplit d'espoir. 
Donc, être assistante maternelle pour moi, c'est participer à la formation des citoyens du future, se préoccuper de l'avenir des nouvelles générations, l'avenir de nos enfants. Et voila que la boucle est enfin bouclée ...

mercoledì 17 aprile 2013

Ma come si cambia un bambino?

Chi avesse problemi a visualizzare il video può cercare
Best Diaper Changing Technique for Newborns to Reduce Colic su youtube

Cambiare un pannolino è un gesto apparentemente banale. Si solleva il bambino per le caviglie (modalità salamella), si fa la pulizia necessaria e via che ti ritiro su dai piedi e ti infilo il pannolino pulito. Niente di più semplice...

Ma se consideriamo un bambino, per quanto appena nato, come qualcosa di un po' più complesso di un tubo digerente (uniche attività riconosciute: mangia, dorme, fa pipi), forse possiamo anche porci il problema di quale sia il modo migliore PER IL BAMBINO (visto che per noi genitori il metodo salamella resta di una comodità indiscutibile...) di cambiare un pannolino.

A questo punto, se con un piccolo sforzo cerebrale (forza papà provateci anche voi...), proviamo a metterci al posto del bambino, ci rendiamo conto abbastanza rapidamente che la posizione della salamella (o salsiccia per chi preferisce) non è per nulla confortevole. John Edward dottore in chiropratica ha studiato le conseguenze di questa posizione e ha fatto notare che essa provoca delle pressioni a livello dorsale e dell'addome del bambino, ipotizzando perfino che possa essere all'origine di alcune coliche infantili (cliccate sul video qui sopra per saperne di più).

In aggiunta agli inconvenienti fisici (che sarebbero già di per sé condizione necessaria e sufficiente) vanno considerati secondo me anche gli aspetti psicologici. A chi piacerebbe essere trattato come una salamella? Se veramente consideriamo il bambino come un essere umano, come una persona a sé stante, con la sua dignità, forse qualche scrupolo ci dovrebbe venire prima di sollevarlo per i piedi. Anche nelle maternità, dove tradizione voleva che il bimbo appena uscito dal ventre della madre fosse subito alzato per i piedi e sculacciato, le cose sono per fortuna cambiate (quasi dappertutto). Da un lato perché si è capito con il tempo che questa pratica era assolutamente inutile e dall'altro perché ci si è finalmente resi conto che è forse più umano e rispettoso del bambino metterlo alla nascita sul ventre della madre piuttosto che prenderlo a pacche sul sedere a testa in giù... e benvenuto in questo mondo!

Secondo me vale la pena almeno di provare a cambiare le proprie abitudini, anche se non è semplice. Invece di alzare il bambino per le caviglie si può provare al momento del cambio a sfilargli il pannolino girando il bambino prima su di un lato e poi sull'altro. E' forse un po' più' laborioso come sistema soprattutto all'inizio, ma è un grande servizio che rendiamo ai nostri figli. E molto presto il bambino parteciperà spontaneamente cercando da solo di girarsi sul lato, soprattutto se svolgiamo questa operazione con calma, spiegando al bambino fin dal primo giorno quello che stiamo facendo: "vedi ti giro così togliamo il pannolino". Possiamo anche aggiungere "attento guarda che il sapone rischia di essere un po' freddo"... 
Queste frasi banali che tutte le mamme pronunciano 1000 volte al giorno sono un vero e proprio valore aggiunto perché fanno di un momento banale, noioso e ripetitivo come quello del cambio, un istante di comunicazione e di condivisione con il bambino che si sentirà da subito capito e rispettato. Dici niente...

Infine una piccola nota riguardante i bambini più grandi, quelli che iniziano a camminare e che iniziano anche a detestare il momento del cambio... A questo punto noi genitori attenti e solerti possiamo provare a fare uno sforzo in più, imparando a cambiare il bambino in piedi. Questo metodo è molto meno umiliante per un bambino che è capace di stare in piedi da solo e che non ha alcuna voglia di mettersi sdraiato e poi possiamo farlo partecipare molto di più, proponendogli per esempio di tenere sollevata la maglietta o di chiudere gli adesivi da solo, aiutandolo così a crescere e diventare autonomo. Non è questo lo scopo ultimo?

sabato 2 marzo 2013

Una nuova professione: Tagesmutter anche in Italia

Anche in Italia, finalmente, inizia a diffondersi la professione di tagesmutter. Si tratta di persone, per lo più donne, che accolgono al loro domicilio un certo numero di bambini (fino ad un massimo di 5) tra i 0 e i 14 anni percependo uno stipendio. 

Il servizio fornito da questa nuova figura professionale è complementare a quello dei nidi. In particolare si rivolge a quelle famiglie (e sono tante) che non riescono ad avere un posto al nido o per cui gli orari dell'asilo sono incompatibili con la propria professione. La tagesmutter si occupa dell'educazione e della cura dei bambini e offre una flessibilità impensabile in strutture più grandi. Inoltre questo tipo di "affidamento giornaliero" permette di accogliere i bambini in maniera più familiare e personale e quindi, visto il numero ridotto di bambini accolti, di dare una più elevata attenzione alla specificità del singolo individuo.

Insomma, adeguando l'Italia a quello che già da tempo si fa in altri paesi europei, questa nuova professione rappresenta secondo me una grande opportunità che da un lato permetterà alle donne che lavorano (fuori casa) di mantenere la loro professione grazie ad un sostegno mirato e differenziato per la cura dei propri figli, e contemporaneamente creerà nuovi posti di lavoro per chi pensa di essere adatto a questo tipo di occupazione.

Certo chi medita di fare questo lavoro giusto per non restare disoccupato o per stare a casa tranquillo è meglio che cambi idea. Accogliere bambini a casa propria infatti potrebbe rivelarsi più complicato del previsto. Lavorare a casa può creare per esempio veri e propri conflitti con gli altri membri della famiglia: un marito potrebbe sentirsi a disagio, estraneo a casa sua, incapace di trovare un attimo di pace e la coppia stessa potrebbe risentirne. Inoltre anche i figli della tagesmutter possono sentire un certo malessere o fastidio nel condividere con altri non solo le loro stanze, i loro giochi e tutto il resto... ma anche le loro madri. I conflitti sono davvero dietro l'angolo e c'è senza dubbio la necessità di trovare un equilibrio che non è per niente scontato. A questo si aggiungono poi i problemi propri al lavoro come il rapporto non sempre evidente con i genitori dei bambini, i contratti, la responsabilità di un tale mestiere e la pazienza cosmica che è indispensabile.
Per fortuna ci  sono anche degli aspetti positivi. Uno fra tutti i ritmi lavorativi che, anche se intensi, sono più umani e calcati sul tempo lento del bambino, sull'osservazione, sulla curiosità, sullo stupore. E devo dire che in questa società dove tutto e tutti vanno di fretta, avere un po' di tempo per ascoltare un bambino mi sembra un privilegio enorme, che spesso i genitori non hanno...

Prima di concludere voglio pero' sottolineare un aspetto della tagesmutter che mi disturba un po'.
Si tratta del nome, che proprio non mi piace. L'abbiamo tradotto, con poca fantasia, letteralmente dal tedesco. Tagesmutter significa infatti "mamma di giorno". Questo appellativo mi sembra molto impreciso per una serie di ragioni: intanto va detto che il lavoro può essere svolto sia di giorno che di notte, in secondo luogo questo nome mi sembra precludere a priori la professione agli uomini e questo è un vero peccato oltre ad essere una discriminazione. Ma soprattutto quello che mi infastidisce in questo nome è il fatto che con la sua banalità annichilisce la professionalità di chi svolge questo lavoro. Non basta essere mamma per essere tagesmutter, servono invece, oltre ad un'infinita dose di passione, competenze e qualità specifiche come la creatività, la tenerezza, la pazienza, la rapidità, la resistenza, le capacità organizzative, alcune nozioni sull'educazione e anche di primo soccorso... tutte cose che purtroppo si imparano spesso più "sul campo" che nella breve formazione prevista.

Per chi fosse interessato a questo lavoro lascio alcuni links utili.

E per chi legge il francese questo libro passa in rassegna, con acuta ironia, la vita tipo di una "assistante maternelle" (cosi' si chiamano in francese), gioie e dolori...
"Une vrai vie de nounou", Françoise Naser, ed. Philippe Duval

venerdì 1 marzo 2013

Mon petit coeur dans le navire - Un spectacle pour les tous petits



L'espace est réduit, très réduit, la lumière douce... Pour une fois on est loin des projecteurs d'Hollywood! Le décor simple: du carton, du papier, une planche en bois... ça rappelle les mondes fantastiques qu'on se créait quand on était enfants avec du matériel de récupération, volé ci et là, et une bonne dose de fantaisie. 

Quelques chaises pour les spectateurs tout au tour de la scène et c'est tout. Une petite dame nous guide et comme à chaque fois, même ici parmi les mômes qui bourdonnent et les parents qui chuchotent, la magie du théâtre opère.

Les barrières entre acteur et spectateurs s'effondrent, on se laisse transporter doucement dans un univers onirique, enfantin, humain. Le voyage de Liliva commence... Elle prend la mer on devient une vague, elle chante on danse, elle se cache on la cherche. Le corps redevient instrument, l'imagination reine et le temps relatif. Place aux émotions et aux sensations libres. Le paradoxe ce qu'au theatre les masques tombent...

Emma a deux ans. Elle regarde le spectacle blottie sur mes genoux. Elle assure ne pas connaitre Grotowski, ni Brecht ni même Pirandello. Et pourtant le théâtre la captive, la gagne et elle en redemande. Elle s'exclame sans cesse: "qu'est-ce que c'est ça maman?" Je ne sais pas! Peu importe!
Oui, peut importe l'histoire ou le lieu, ce qu'elle aime c'est de suivre du regard Liliva qui s'envole et s'en va, qui sait où. Et je suis sûre que dans son émerveillement, quelque part au fond d'elle, même si elle me serre très fort la main, Emma aurait envie de partir elle aussi loin avec Liliva et ainsi grandir.

- Un vrai petit bijoux ce spectacle, un poème léger et passionnant 
écrit et réalisé  par Caroline Duval, que je conseille à tous! 
A partir de 8 mois, à voir sur Nice et alentours -

venerdì 22 febbraio 2013

Storia di un vasetto - Certe cose capitano solo a me

Certo l'addio al pannolino è una fase molto particolare. In primo luogo per il pupo, che adora spiacciccarsi la cacca sul culetto quando si siede (splash!), e in secondo luogo per mamma e papà. Taluni perché non hanno voglia di vedere crescere troppo in fretta il loro pargoletto, altri perché vorrebbero che tutto avvenisse con la precisione di un orologio svizzero: è ora di togliere il pannolino, pronti via!


Con un minimo di buon senso possiamo dire che la parola d'ordine (anche) in questo caso è: Pazienza! Come si dice, Roma non è stata costruita in un giorno... 


Io, non sapendo come al solito da che parte cominciare, ho iniziato dalle basi e ho comprato un vasetto. Nonostante la notevole bellezza dell'esemplare appena acquistato, devo dire che l'interessata non ha manifestato da subito grande coinvolgimento. 
Allora, pensando di far bene (quelle idee geniali che solo la mamma ha!), ho comprato uno di quei libretti per bambini sul tema, scabroso ma ineludibile.
Lo sfoglio... dunque dunque... sulla prima pagina c'è un bel bambino tutto contento che ride con un vasetto in testa... che carino (!) Sulla seconda una bimba che dorme il sonno del giusto seduta sul suo trono... capita (?!). Giro ancora pagina e trovo un altro bimbo che, bavaglino al collo e cucchiaio in mano, mangia felice una minestra usando il vasetto come un piatto... (???) Va bene tutto ma, ora dico: o li credono proprio scemi i nostri figli oppure ce li vogliono far diventare!! Richiudo il libretto con le illustrazioni per l'infanzia e cerco spunti altrove. 

Chi ne sa (medici, psicologi, astrologi...) dice che non ci siano metodi o strategie particolari da seguire per insegnare l'utilizzo del vasetto, il tutto dovrebbe avvenire naturalmente, lasciando al bambino il tempo di interessarsi e di abituarsi, a suo ritmo. Incoraggiandolo quando dimostra curiosità verso questo strano oggetto e senza rimproverarlo quando se ne dimentica completamente (what is this?). Soprattutto senza forzarlo.
Per carità, non forzare, è giusto, si' si' condivido. Cioè, insomma, mi chiedo, togliere il pannolino e domandare a interventi regolari (ogni 30 secondi circa): ti scappa la pipì? Oppure: la senti la pipì che spinge nel pancino? Dove si fa la pipì amore?? Allora ti scappa? Secondo me ti scappa! Guarda anche la mamma va a fare la pipì, la fai anche tu? ... Ecco, che sia da considerarsi una forzatura??? 

Comunque sia, diciamo che alla fine, più o meno spontaneamente (ok lo ammetto ad un certo punto le ho anche detto che lo stock di pannolini era esaurito...), e dopo innumerevoli poccie* sul pavimento, le prime pipi hanno iniziato a piovere nel posto giusto. Insomma, quasi... Si' perché, dopo tanta fatica e tanto impegno da parte della pupa e anche da parte mia, mi accorgo sgomenta che sul fondo del mio bel vasetto rosa, molto probabilmente taroccato, c'è una piccola ma ineluttabile fessura. Allora, incerta tra il riso il pianto, torno ad asciugare per l'ennesima volta il pavimento, con una sola spietatissima idea in testa: domani questo "cavolfiore" di vasetto lo riportiamo indietro dove lo abbiamo comprato... Pieno naturalmente!

*Che si scriva "poccie" o "pocce"? Solo Joyello saprà rispondere a questo spinoso dilemma sul dialetto veneto...

lunedì 28 gennaio 2013

Influenza con prole - L'aspiracaccole e altre sciocchezze

Dapprima è stata la prole (si può' ancora usare questo termine pubblicamente o è troppo marxista?! oddio "marxista" si può' dire marxista??!!), insomma dapprima mia figlia si è beccata una bella influenza. Gli esiti terribili sono conosciuti da tutti i genitori che abbiano bambini piccoli raffreddati. Perché un bambino, lui, il naso non se lo sa soffiare. Povero cucciolo. 
Allora supermamma e superpapà prendono un super-aggeggino super-simpatico, di cui mi sfugge il nome scientifico, ma che a casa abbiamo ribattezzato l'"aspiracaccole" (è molto français no come nome?! oui oui oui) il quale consiste in un tubicino da posare al naso del bimbo da un lato e dall'altro alla bocca della mamma o del papà (a chi tocca questa volta? l'ultima volta l'ho fatto io. Si ma io l'avevo fatto due volte di fila...). Quindi il genitore più coraggioso ( o quello che perde sempre a testa o croce... anghingo tre galline e tre capo'...) inzia l'operazione di aspiraggio con la bocca (giuro giuro si fa proprio cosi') del contenuto oleoso del naso santo del bimbo angelo, amore della mamma tua, ma che me tocca fa'... Insomma sono bei momenti che ogni genitore affronta con abnegazione e devozione assolute (anghingo...).
Il vero problema nasce quando, aspira di qua aspira di là, il bimbo finalmente guarisce e tu, cioè io, fiera del mio operato esemplare inizio a sentirmi un po' stanca, ho i brividi e il naso cola... a picco. Cerco di negarlo di fronte allo specchio che mi rimanda l'immagine di una me moribonda (e pur sempre bellissima...), ma ormai lo so, è il mio turno, l'influenza si è trasmessa anche alla mamma, evviva.
Allora mi aggiro per casa con il rotolo di cartaigenica 100% cotone-super-soft costantemente in mano (visto che arrivati ad un certo livello di gravità del raffreddore i pacchetti di fazzoletti da dieci sono da principianti). So che passero' due barra tre notti insonni perché non riusciro' a respirare e avro' rigorosamente dimenticato di comprare quelle medicine miracolose che ti guariscono in dieci minuti  e di giorno faro' finta che va tutto bene, per non dare troppo nell'occhio e soprattutto per scongiurare quello che di fatto mi preoccupa di più e cioè che questa benedetta influenza passi in ultima istanza anche al papà. Perché sappiamo tutti che lui con 37.5° di febbre e un ipotetico principio di raffreddore si trascina tremolante e sofferente verso il letto e pensa già a fare testamento.